IL MONASTERO DI S. ELISABETTA A L'AQUILA
Nel 1415 Paolo Branconio, un ricco aquilano, si era impegnato perché sorgesse, su una collina poco fuori la città, il convento di frati minori di San Giuliano, fondato da fra Giovanni da Stroncone. Di lì a poco espresse al vescovo Jacopo Donadei il desiderio che fosse fondato in città anche un monastero di terziarie. Il vescovo chiese al pontefice e il 16 maggio 1430 ottenne da Martino V il breve di assenso. Paolo Branconio si impegnò allora a cercare una sede per il monastero. Di queste primitive strutture sappiamo poco, salvo che erano costituite da una casa (forse quella paterna dello stesso Paolo) e da una chiesa, probabilmente ricavata adattando un vano precedente.
Dovevano già essere intercorsi contatti con Angelina e la comunità di S. Anna, prima che, fra l'estate e l'autunno del 1432, Paolo e sua moglie, accompagnati da frati e altri cittadini, si recassero a Foligno. Angelina aveva scelto alcune sorelle, fra le quali spiccavano Antonia da Firenze, che allora viveva a Todi, e Paola da Foligno, una delle ventisei sorelle della bolla del 1403. Il piccolo drappello giunse a l'Aquila il 2 febbraio 1433 e prese possesso del nuovo monastero.
Da subito la comunità irradiò intorno a sè la luce della sua vita spirituale e furono molte le giovani ad entrare in monastero, fra cui due figlie di Paolo Branconio, Ludovica e Angela. Ma non mancavano neanche le difficoltà. Antonia si recò dunque a Foligno per condurre con sé un'altra consorella, Eufrosina da Todi, per avere un aiuto nella gestione del monastero.
Angelina era morta nel luglio del 1435 e la sua congregazione era soggetta a tanti attacchi diversi. I frati dovevano avere un peso notevole sulla spiritualità della comunità e Antonia, per la sua natura mistica, doveva sentire forte anche la vocazione ad una vita di clausura.
Nel 1447 S. Giovanni da Capestrano, una delle quattro colonne dell'Osservanza, era a L'Aquila per predicare. Da lui Antonia ebbe lo stimolo e il sostegno per una scelta diversa, quella di abbracciare la Prima Regola di Santa Chiara e di vivire inclusura nel monastero del Corpo di Cristo. Fu una decisione difficile, che spezzò in due la comunità. Antonia e tredici sorelle (fra cui suor Eufrosina e le due figlie di Paolo Branconio) si trasferirono nel nuovo monastero, mentre le altre restarono in Santa Elisabetta.
Testimonianza delle pressioni alle quali erano soggette le suore, sono le parole che scrisse uno storiografo cinquecentesco dell'Ordine Francescano, fra Mariano da Firenze, il quale dopo aver detto che Antonia presa da molte preoccupazioni, si era convinta che era meglio “vivere in clausura, che ne monasterij aperti, continuamente andando discorrendo per el mondo, et che tali monasterij sancto Francesco non ordinato haveva” aggiunse che le consorelle di continuo "con dolenti parole la martellavano, per havere sollevato et diviso el monastero”. E' quasi con soddisfazione, che fra Mariano conclude dicendo che “Dio, perché furono contrarie a tanto sancta opera, la distrusse in breve insino ai fondamenti de loro monasterio".
Infatti di lì a pochi anni il monastero di santa Elisabetta soccombette alla crisi della congregazione e fu venduto. Oggi non se ne vedono più neanche le tracce, sebbene ne sia rimasta memoria nella toponomastica. Non lontano dal Castello sorgono infatti la via e l'arco delle Terziarie, che si incrocia con via Sant'Elisabetta, a ricordo del passaggio della comunità di Angelina nella città abruzzese.